Ubre Blanca (mammella bianca) nacque, probabilmente nell’anno 1972, nell’Isla de la Juventud (già Isla de Pinos). O, più precisamente, nella “vaquería 134-5” del Distrito la Victoria, appena creata in una zona dell’isola il cui microclima, insolitamente fresco per le medie tropicali, era dagli esperti considerato particolarmente adatto agli esperimenti genetici di cui la nascitura fu, in effetti, uno dei primi prodotti (e certo l’unico di cui sia rimasto un imperituro ricordo). Per quanto infatti convinta – almeno fino alla prima visita del Comandante en Jefe, Fidel Castro – d’essere soltanto una mucca, proprio questo era, in realtà, Ubre Blanca: un esperimento, un progetto, un’utopia, un sogno eroico.
In termini tecnici, Ubre era un F2. Ovvero: il frutto d’un incrocio tra la razza Holstein, ubertosa figlia dei pascoli delle verdi pianure d’Olanda, e la razza Cebú, africana. La prima – presente in misura 75 per cento nei codici genetici di UB – instancabile produttrice di latte d’alta qualità; la seconda (presente nel restante 25 per cento), di molto più avara mammella, ma assai resistente al calore. L’idea – parto dell’enciclopedica mente del medesimo Fidel – era ovviamente quella di creare, attraverso l’incontro, una nuova “mucca cubana” capace di sintetizzare e, al tempo stesso, di sommare le virtù due ceppi originali. Vale a dire: capace di produrre quantità “olandesi” di latte, sotto il sole – per dirla con la Guantanamera di José Martí – del paese “donde crece la palma”.
Il successo dell’esperimento fu straordinario. Catastroficamente straordinario o, se si preferisce, straordinariamente catastrofico.
Il successo dell’esperimento fu straordinario. Catastroficamente straordinario o, se si preferisce, straordinariamente catastrofico. Passati i suoi primi tre anni di vita nel più totale anonimato caseario, infatti, all’inizio degli anni ’80, Ubre Blanca cominciò, non solo a produrre le summenzionate “quantità olandesi” di latte, ma frantumò uno dopo l’altro – con una generosità che ancor oggi non ha trovato eguali, né nel libro dei Guinness, né altrove – tutti i record planetari di produzione. Quello annuale, con 27 tonnellate di latte. Quello giornaliero, con 110,9 litri (contro la media Holstein attestato attorno ai 24-25 litri). E, infine, quello per una singola mungitura, con 41,2 litri. Dei precedenti record, quasi tutti datati 1975, e quasi tutti detenuti dalla statunitense Arlinda, gloriosa figlia del Wisconsin, non restò che polvere…
In che cosa consiste, dunque, l’aspetto “catastrofico” di questo trionfo? Nel fatto – non nuovo, ma, nel caso in questione, per molti aspetti unico – che fu proprio questo travolgente successo, le cui origini non sono mai state scientificamente comprese a fondo, quel che alla fine uccise Ubre Blanca. Qualcuno dice che, a mandarla al creatore, fu un cancro alla pelle (tipico della razza Holstein) dovuto ad una eccessiva esposizione al sole. Altri affermano che proprio la sua miracolosa capacità di produzione – miracolosa nel senso che sfidava le leggi della natura – aveva finito per devastare il suo apparato mammario. Ma quale che sia stato il colpo di grazia, una cosa è certa. Ubre Blanca è morta perché era un esperimento. Un esperimento fallito, a dispetto di tutti i record battuti e d’una popolarità seconda solo a quella di Fidel. O, per l’appunto, perché non era che un sogno, un’effimera illusione di grandezza. Meglio ancora: uno dei moltissimi esperimenti falliti – alcuni in termini grotteschi – che la politica agricola della rivoluzione castrista ha, tra utopie e capricci del “líder máximo”, consumato nell’ultimo mezzo secolo.
Di Ubre Blanca non resta oggi – al di là dei suoi ovuli ibernati e dei non dei tutto svaniti progetti di clonazione – che quello che di norma resta di tutti gli eroi: un monumento...
Ubre Blanca se ne è andata, al termine d’una vita breve ed eroica, senza lasciare eredi. La sua prole non è sopravvissuta alle deformazioni – perlopiù mammelle giganti che finivano per staccarsi dal corpo per via del proprio peso – derivate dagli esperimenti genetici che avevano fatto della madre un mostro di produttività. E nel nulla sono finiti tanto i tentativi di fecondare altre vacche con i suoi ovuli ibernati, quanto quelli – che qualcuno sostiene essere ancora in corso – di clonare l’originale. Di Ubre Blanca non resta oggi – al di là dei suoi ovuli ibernati e dei non dei tutto svaniti progetti di clonazione – che quello che di norma resta di tutti gli eroi: un monumento, eretto in quel di Nuova Gerona (la capitale della Isla de la Juventud) a memoria delle sue imprese. Irripetute ed irripetibili.
Ubre Blanca ha regalato a Cuba tutti i primati possibili ed immaginabili in materia di produzione casearia. Eppure Cuba vanta, oggi, meno di un quinto dei capi di bestiame che aveva prima del 1959, mentre la sua produzione di latte – fin dagli anni ’70 molto lontana dall’autosufficienza – è in costante, drammatica diminuzione dai giorni della caduta dell’impero sovietico. Un paradosso, questo, nel quale si specchia tutta la grandezza e, nel contenpo, tutta la miseria della rivoluzione castrista.
Ed è proprio nel cuore di questo paradosso che questo blog – frutto della postuma saggezza d’una vacca che della rivoluzione fu eroina e vittima – ha la pretesa di muoversi.
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