Tuesday, December 3, 2024
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Piccoli capitalisti crescono

Quello dello “spidocchiatore”( indicato nel cartello della foto) non risulta, in effetti, tra i 178 spesso improbabili mestieri che il recente “aggiornamento” del socialismo castrista (castrista, in questo caso, come Raúl Castro) ha affidato all’iniziativa privata. Ma, pur nella sua illegalità, ben simboleggia la realtà d’un regime che, in qualche modo cerca di liberarsi dai troppi parassiti generati da uno statalismo soffocante e insensato (o sensato solo come strumento di perpetuazione del potere politico). Oggi, a Cuba, un numero crescente di cittadini, si guadagna da vivere, non solo spidocchiando a pagamento il prossimo, ma riparando scarpe, trasportando gente, aprendo nuove e più grandi “posadas”. In questo reportage – già pubblicato dal “D” di La Repubblica, Gabriella Saba ci racconta questa nuova realtà…

 

di Gabriella Saba

 

Una festa è una festa, soprattutto a Cuba e Raidel Peñate, cubano di Cienfuegos, ne è così cosciente che ha scelto di guadagnarsi la vita lavorando in quel settore: organizza feste di compleanno, matrimoni e soprattutto fiestas de quince, feste per i quindici anni delle ragazzine: una tradizione molto sentita a Cuba che il trentanovenne Raidel celebra con uno spiegamento di comparse degne di un varietà, con tanto di ballerini professionisti vestiti da cerimonia e fotografo che immortala la serata. E infatti il costo di una fiesta è piuttosto alto: da duecento a settecento cuc (pesos convertibili), che corrispondono ad altrettanti dollari. Una cifra proibitiva per la maggior parte dei cubani, dato che lo stipendio medio si aggira intorni a 15 cuc. Ma i clienti di Raidel non sono, naturalmente, la maggior parte dei cubani.

Massiccio, occhiali da sole scuri e l’espressione che ci si aspetta da chi fa il suo mestiere, Raidel è uno dei circa 330.000 cuentapropistas che lavorano attualmente a Cuba: lavoratori in proprio il cui numero è in continuo aumento da quando il governo cubano ha varato, negli ultimi mesi del 2010, un ampio pacchetto di riforme che aprono alla piccola iniziativa privata per compensare i licenziamenti di dipendenti statali previsti per i prossimi anni (nelle intenzioni, cinquecentomila entro il 2011 e un milione ottocentomila entro il 2015).

In poche parole: stabilito che l’economia cubana faceva acqua, si è deciso di approvare una serie di aperture con l’obiettivo di “attualizzare il socialismo”: per esempio liberalizzare parzialmente un certo numero di attività, concedere più licenze in quelle già permesse e affidare alcuni uffici improduttivi dello Stato a cooperative di privati.

“Bisogna cancellare per sempre l’idea che Cuba sia l’unico Paese al mondo dove si può vivere senza lavorare”, ha dichiarato Raúl Castro nell’agosto del 2010.

Cambio di scena, dunque, da un anno e mezzo a questa parte. I cuentapropistas sono aumentati di quasi 200.000 e L’Avana Vecchia, il quartiere storico della capitale molto bazzicato dai turisti, è ormai affollato di venditori di pizze e succhi di mamey, commercianti di souvenir e noccioline. Dalle finestre al pianterreno di molte case, cubani e cubane di ogni età offrono dolcetti di guayaba e pai (scritto così, alla cubana) di cocco. C’erano anche prima, ma adesso sono molti di più e un po’ più contenti. “La differenza è che un tempo eravamo considerati un male necessario, mentre ora rappresentiamo il futuro”, spiega la proprietaria di una paladar, un ristorante in casa. File di auto coloniali, utilizzate come taxi, intasano le strade, carretti trainati da cavalli portano in giro gruppi di ragazzini. I trasportatori privati rappresentano il 22 per cento dei cuentapropistas e sia i taxi sia i carretti fanno parte delle attività permesse ai privati: 178 in tutto che comprendono, accanto a quelle solite di affittacamere e ristoratore, una sfilza di professioni surreali come gli sbucciatori di frutta e i foderatori di bottoni, i cartomanti e i riempitori di accendini, perfino i dandy e i “figurantes”, una sorta di comparse che si aggirano nelle zone storiche: vedi il signore con cappellino da Popeye e sigaro che passeggia nella Plaza de Armas e che si fa fotografare, a pagamento, con i turisti.

Solo una parte dei cuentapropistas lavora con i questi ultimi, d’altronde. Dall’altro lato della città rispetto all’Avana Vecchia, nel quartiere Playa che si allunga sul mare, il noto salone estetico Belleza Latina, aperto quattro anni fa, ha per esempio una clientela formata in gran parte da cubani del mondo dello spettacolo e del cinema. Specialità della casa: estensioni dei capelli. La proprietaria Elena Gómez – 45 anni, capelli scuri – è letteralmente entusiasta delle riforme benché lavori più di dieci ore al giorno: “La gente è più motivata e contenta. Per quel che mi riguarda, faccio un lavoro che mi piace e il mio tenore di vita è migliorato. Il salone va bene e ho cinque ragazze che lavorano per me”. Tra le nuove aperture di Raúl c’è infatti quella che permette ai cuentapropistas di 83 categorie professionali di assumere manodopera, basta pagare un’imposta supplementare su ogni dipendente. Poi, naturalmente, ci sono le tasse: fino al 50 per cento sulle entrate, e inoltre il dieci per cento sulle vendite e i contributi. “In realtà, le tasse sono alte”, sospira Reinaldo Rios, 72 anni, un distintissimo ingegnere civile che da vent’anni lavora come falegname. “Però non mi lamento. Guadagno tra i cinquecento e i seicento cuc mensili che mi permettono di vivere serenamente e questo mi basta”.

Perfino la Compagnia di Gesù ha dato il suo contributo al nuovo corso: per tre mesi, e fino all’aprile scorso, ha tenuto corsi di formazione per futuri piccoli imprenditori, impartendo lezioni di marketing ed economia. E l’Arcidiocesi aveva realizzato corsi simili qualche mese prima.

Da qualche giorno, inoltre, i lavoratori in proprio hanno cominciato a promuovere la loro attività sulle Paginas Amarillas dell’elenco telefonico di Cuba, edito dalla agenzia statale di telecomunicazioni Etecsa. Una novità assoluta e un passo in più nel cammino della liberalizzazione. Per inciso: gli annunci, lungi dall’avere uno stile consumista, servono solo a scopo informativo, stando almeno alle dichiarazioni rilasciate da funzionari di Etecsa a Prensa Latina.

Non tutti i cubani hanno accolto le aperture con entusiasmo, a dire il vero. C’è chi non si fida e chi preferisce aspettare prima di mettersi in proprio. Qualcosa di simile alle aperture attuali era già stato tentato nei primi anno ’80, dopo la crisi del Mariel e, di nuovo, a metà degli anni Novanta, durante il Periodo Especial, la pesantissima crisi economica provocata dalla caduta del Muro. Il governo aveva, in entrambi i casi, autorizzato una serie di attività che venivano già svolte sottobanco, ma aveva poi sospeso la concessione di licenze in molte categorie, tanto che il numero dei cuentapropistas era calato da 210.000 del 1996 a 144.000 di qualche anno dopo.

E’ per questo che molti, nell’isola, sono tiepidi. E anche perché le attuali riforme sembrano incomplete se non si attualizza anche il contesto: per esempio, manca un mercato delle materie prime, che sono insufficienti o hanno costi troppo alti. “Nel mio settore non si trovano quasi mai e in genere chiedo ai clienti di procurarle loro, ma non sempre ci riescono”, spiega Reinaldo. Vale per tutti, non solo per i falegnami. “Di colpo, spariscono dal mercato gli alimenti di cui abbiamo bisogno, e noi cosa diciamo ai clienti?”, si lamenta il gestore di una paladar. “E’ difficile lavorare a questo modo”.

Anche le paladares sono state beneficiate delle recenti aperture. Il numero massimo di posti a tavola è stato aumentato da dodici a cinquanta, e si permette adesso l’uso di carne di manzo e frutti di mare che prima era proibito. Un’altra apertura riguarda l’affitto delle stanze, una delle attività più praticate dai cuentapropistas: da un anno e mezzo è possibile affittare l’intero appartamento e non solo le singole camere. Julita de la Rosa e Silvio Ortega, 44 e 55 anni, gestiscono da diciassette anni il bellissimo Bed and Breakfast La Rosa de Ortega e si dichiarano soddisfatti delle riforme. Anno dopo anno hanno rimesso a posto la loro palazzina nel quartiere de La Vibora fino a trasformarla in una casa piena d’atmosfera con veranda a vetri, piscina nel giardino e stanze pastello. “La differenza rispetto a prima è che nessuno ormai ci guarda male”, spiega Julita, capelli neri e una laurea in relazioni economiche internazionali. “Ci sentiamo parte della società, visto che moltissime persone fanno oggi le stesse cose che facciano noi”. Accanto alla piscina, un gigantesco albero di mango, piante di bouganvillea e flamboyant. Dal terrazzino all’ultimo piano si vede un panorama di tetti piatti e palme fino al mare.

Secondo Carmelo Mesa-Lago, professore emerito di Economía e Studi Latinoamericani presso l’Università di Pittsburgh, la strada che ha preso il governo di Raúl Castro è giusta, peccato le restrizioni. “Le riforme hanno ancora troppe limitazioni, ed è per questo che molte persone non si arrischiano a lavorare in proprio. Per esempio, più alto è il numero degli impiegati assunti e più aumentano le tasse, una contraddizione visto che lo scopo delle riforme è quello di creare lavoro. Ed è per questo che lo Stato non riesce a licenziare i lavoratori previsti. Perché molti di loro non si fidano a fare i cuentapropistas”. Carmelo Mesa-Lago ha appena scritto il libro Cuba en la era de Raul Castro ed è considerato un’autorità per quel che riguarda l’isola. In ogni caso, anche gli accademici all’interno di Cuba sono a favore delle aperture.“Il governo si è reso conto che il funzionamento dell’economia socialista non risolveva, per come era strutturato, le esigenze basilari della popolazione, nonostante gli importanti risultati sociali”, spiega Omar Everleny Pérez Villanueva, direttore del Ceec (Centro de Estudios de la Economia Cubana). “Da qui, la necessità di riconoscere l’importanza del settore privato e cooperativo: si prevede che nel 2015 il settore non statale rappresenterà il 45 per cento dell’impiego nell’isola”.

Seduta nel patio del suo palazzo coloniale in Calzada 508, nel quartiere centrale del Vedado, la cinquantaquattrenne Fifi Acosta fa il primo break della giornata da quando ha cominciato a lavorare, alle sei e mezza del mattino. Dimostra sì e no trent’anni e ha un’espressione da scugnizzo e un umorismo al curaro. Il patio è pieno di piante e fiori e vi si affacciano le quattro stanze che Fifi cede a 30, 35 cuc al giorno a seconda della stagione. Da quasi sei anni ha lasciato il suo lavoro di progettista di architettura per affittare camere. Anche lei trova che questa riforma sia una gran bella cosa. “E’ passato poco più di un anno e già si nota il cambio. La gente è contenta perché ha la possibilità di mantenersi dignitosamente e bada con entusiasmo ai propri affari. Il resto….”, dice guardando il cielo che si allarga, azzurro, sopra le piante. “Il resto se resuelve”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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