Thursday, November 21, 2024
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Due mesetti ancora…

Due mesetti ancora. Di tanto si prolungherà quello che, cinque anni fa, ancor vivo il “comandante en jefe” Fidel, Raúl Castro aveva annunciato come il suo ultimo mandato nelle vesti di presidente del Consejo de Estado y de Gobierno. Vale a dire: come capo di Stato e responsabile dell’esecutivo. Motivo di questa breve estensione temporale (davvero un lampo nella storia d’un regime che, per quasi un sessantennio, è stato sempre e comunque diretto da un Castro): l’emergenza creata dal passaggio dell’uragano Irma, lo scorso settembre. Emergenza che ha spinto al rinvio della sessione della Asamblea Nacional del Poder Popular chiamata, per l’appunto a ratificare il passaggio delle consegne con la nomina dei nuovi vertici.

Va da sé, tuttavia, che quasi nessuno – o, più esattamente, nessuno tranne i media ufficiali cubani – hanno preso sul serio una motivazione che, in effetti, manca di qualsivoglia razionalità. Molto più logico è immaginare che il rinvio sia invece dovuto a dissensi relativi ai termini della successione. Da ormai diversi anni l’erede di Raúl alla testa del Consejo de Estado e del Consejo de Gobierno veniva indicato nell’ingegnere Miguel Díaz-Canel, attuale vicepresidente d’entrambi gli organismi. Ma stando alle voci che filtrano oltre le impenetrabili barriere del Palazzo – voci credibili anche se, ovviamente non verificabili – parrebbe che una tale soluzione, da tempo data per scontata, non sia più gradita ad una parte del gotha castrista (ed in particolare ai più influenti membri della dinastia, a partire dal colonnello Alejandro Castro Espín, figlio di Raúl). A Díaz-Canel, abitualmente classificato come “riformista”, molti preferirebbero l’attuale ministro degli esteri, Bruno Rodríguez, considerato più eloquente ed ideologicamente affidabile. Vale a dire più disposto a difendere lo status quo contro ogni ipotesi di riforma.

Come molti ricorderanno, Bruno Rodríguez aveva rafforzato questa sua immagine di strenuo difensore della ortodossia castrista, un anno e mezzo fa, allorquando – in piena sintonia con un intervento di Fidel Castro da questo sito definito “cavernicolo” – aveva duramente replicato al discorso che Barack Obama aveva tenuto all’Avana, nel corso della sua storica visita all’isola nel marzo del 2016, sottolineando come l’obiettivo del presidente Usa restasse, pur seguendo diverse strade, quello di sempre: distruggere la rivoluzione.

Dettaglio curioso: in un video ripreso nel corso d’una riunione riservata dei vertici del PCC e fatto (evidentemente ad arte) circolare in internet lo scorso agosto, Díaz-Canel pronunciava parole di fuoco contro le manovre imperialiste e contro qualunque ipotesi d’alterazione dell’immutabile corso della rivoluzione. Il che era ai più parso come un modo per ridar fiato ad una candidatura evidentemente in crisi.

Díaz-Canel, dunque, o Bruno Rodríguez? La risposta dovrebbe arrivare il prossimo aprile, mese in cui è stato ri-convocato il Poder Popular. E tutto appare possibile. Anche l’ipotesi di un ulteriore – e stavolta pluriennale – prolungamento per acclamazione popolare del mandato dell’ormai quasi 87enne fratello di Fidel.

Due cose sono comunque certe. La prima: chiunque sia il suo successore – se successore ci sarà – l’ultraottuagenario Raúl lascerà la poltrona di capo dello Stato e del governo, ma non quella del Partito Comunista, vera fonte del potere. La seconda: chi lo sostituirà troverà un paese in gravi difficoltà economiche, perché percorso da una duplice crisi: quella dovuta all’esaurirsi della bonanza venezuelana e quella del retrocesso della apertura verso gli USA, determinata dalla vittoria presidenziale di Donald Trump, oggi ossessivamente impegnato a cancellare ogni lascito della presidenza Obama.

 

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