Ariel Hidalgo, saggista e scrittore condannato all’esilio alla fine degli anni ’80, ha pubblicato un dettagliato “j’accuse” che ripercorre tutti i 63 anni di una rivoluzione nella quale lui ha creduto. E dalla quale è stato perseguitato – clicca qui per i dettagli della sua storia personale – conoscendo gli orrori del lavoro forzato delle UMAP e, a più riprese, quelli del carcere. Ecco come ;ui stesso presenta il libro sulla rivista digitale 14 y medio:
Ho il piacere di anticipare in sintesi su 14ymedio il contenuto del mio nuovo libro il cui titolo, “Il Libro Proibito”, annuncia il suo destino dentro Cuba. Pubblicato su Amazon, inizialmente in formato digitale, il libro si presenta con una copertina molto drammatica: in mezzo alla brutale repressione della tirannia contro la gloriosa manifestazione dell’11 luglio, un giovane uomo sventola una bandiera cubana insanguinata su un’auto ribaltata, presumo una pattuglia di polizia, qualcosa che mi ricorda la scena scioccante del giovane cinese solitario che nella storica manifestazione di Tiananmen fermò con il suo corpo una fila di carri armati.
L’intenzione del libro è esposta fin dalla sua introduzione: “Ciò che deve muovere le tue azioni non deve essere l’odio contro i responsabili della menzogna e dell’ingiustizia, ma l’amore per la giustizia e la verità, il che non significa che, pur senza rancori, non dobbiamo essere implacabili nel rivelare tutte le bugie che ci hanno seminato nell’inconscio”.
Il libro fa una radiografia di questo tragico processo cubano di 63 anni, preceduto dal suo background repubblicano e dalle radici di quel modello che i comunisti hanno chiamato “socialismo” e che si è rivelato essere la più grande frode di tutti i tempi, un’origine che, ironicamente, fu forgiato dai grandi magnati bancari dell’inizio del XX secolo, quelli che oggi i comunisti chiamano “imperialisti”, a partire da una sottile modifica della teoria marxista della Rivoluzione per dar luogo a quello che fu poi conosciuto come marxismo-leninismo.
All’epoca il finanziamento ai principali leader di quella che fu chiamata Rivoluzione d’Ottobre, Lenin e Trotsky, cercò di rimanere nell’ombra, ma giornalisti e storici, compreso un coraggioso deputato americano, lo portarono alla luce. Il tentativo di nascondere la verità portò ad usare le vie più intricate e persino surreali, come rivela il titolo di un articolo: “Di come i preservativi tedeschi finanziarono la Rivoluzione Russa”.
In fin dei conti ciò che è stato creato non era un’ideologia, ma una facciata per coprire e giustificare il furto di tutte le ricchezze di un paese e il controllo totalitario su tutto un popolo, cosa che anche lo stesso Marx avrebbe condannato. Non importava a chi si espropriava, se a un proprietario terriero o a un semplice calzolaio, perché per loro la cosa più importante era controllare tutto mediante un sillogismo molto semplice: Tutto appartiene al popolo. Io sono il rappresentante del popolo. ergo, tutto mi appartiene.
Di quella facciata faceva parte il fatto di chiamare “rivoluzione” quella che esiste a Cuba, un’idea che non venne a Batista, che continuava a battere la bandiera del 4 settembre nonostante quella rivoluzione fosse stata tradita da lui stesso più di vent’anni fa. Nessun cubano dovrebbe accettare per se stesso l’epiteto di “controevoluzionario” perché significherebbe sostenere la menzogna di una rivoluzione che ha cessato di esistere più di mezzo secolo fa. Ciò che esiste ora e da allora è una tirannia totalitaria.
In ogni caso, i veri rivoluzionari di oggi sarebbero quelli che si sono manifestati l’11 luglio scorso, perché chiedevano una trasformazione radicale delle strutture del paese come giustamente si definisce una rivoluzione. E d’altra parte, i controrivoluzionari sarebbero loro per aver tradito una rivoluzione democratica e libertaria per la quale tanti cubani sono morti per ripristinare l’avanzata Costituzione del 40, svolgere elezioni veramente libere e riprendere un processo di vera socializzazione iniziata dagli autentici che gli ortodossi si proponevano di approfondire.
In questo libro non poteva mancare uno studio sull’eredità di José Martí, non per quell’abitudine già radicata nei cubani di finire tutto parlando di chi è sempre chiamato l’Apostolo, ma per due ragioni ineludibili: la prima perché è stato il primo cubano che ha iniziato a criticare quel modello che ci è stato imposto con la forza, anche molto prima che si instaurasse in qualche paese e uno dei primi nel mondo a mettere in guardia su questa “futura schiavitù”e, in secondo luogo, perché ci ha lasciato un’idea sui diritti umani, soprattutto quello della libertà di espressione, che è stata così importante nella formazione di una coscienza civica del popolo cubano per poter affrontare questa dittatura.
Si affronta anche il tema del sogno di una Cuba migliore di quello di tutti i tempi precedenti, tema molto dibattuto su quale modello seguire, ma in vista, nel nostro paese, possiamo intravedere il nostro cammino. Ci sono due Cuba, quella del Comitato Centrale, il Consiglio di Stato con…