Maledetta terza via

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In una furente ed amena analisi retrospettiva pubblicata con grande evidenza dal Granma nella sua rubrica “desde la izquierda”, Raúl Antonio Capote torna sulle ragioni e sulle conseguenze del crollo del socialismo nella Unione Sovietica ed in quelli che venivano allora chiamati (ovviamente dai nemici del socialismo) “paesi satelliti”. Chi, si chiede il Capote, fu – al di là delle fin troppo ovvie manovre e degli assalti del Capitale internazionale – il massimo responsabile di tanta tragedia? E senza esitazioni addita il colpevole. Trattasi, sostiene, della cosiddetta “terza via”. O meglio: trattasi di quanti, negli anni che precedettero la caduta del muro di Berlino, andarono spudoratamente predicando la necessità (e qui ovvio è il richiamo alla Cecoslovacchia di Dubcek, la cui svolta riformista fu interrotta dai carri armati sovietici nell’agosto del 1969) di un “socialismo dal volto umano”. O, ancor peggio, di una via al socialismo (Allende, il PCI italiano?) che salvaguardasse, anzi, che ampliasse le libertà ed il rispetto dei diritti umani formalmente garantiti nelle cosiddette “democrazie borghesi”.

Dove sono oggi, si chiede in un crescendo d’indignazione il Capote, questi falsi profeti? Dove si nascondono ora che, per colpa loro, sulle ceneri del socialismo che loro hanno per primi contribuito ad abbattere, il capitalismo selvaggio ha conquistato gran parte del pianeta con tragiche conseguenze per suoi più poveri ed indifesi abitanti? Neppure per un istante Raúl Antonio Capote viene sfiorato dal dubbio che il socialismo – o meglio il “socialismo reale” come veniva allora definito quello praticato nell’orbita sovietica – sia in realtà caduto, non perché qualcuno aveva ipotizzato una “terza via”, ma sotto il peso ormai insostenibile della sua inefficienza, dei suoi errori (ai quali, pure, il Capote fa un rapidissimo e pressoché impercettibile accenno) e, soprattutto, dei suoi orrori. Meglio ancora: non perché qualcuno aveva reclamato un socialismo dal volto umano, ma perché il socialismo in vigore già aveva mostrato al mondo, per troppi anni, a dispetto della nobiltà dei suoi originali obiettivi, un irriformabile volto disumano. Lo stesso volto che il Capote può in qualunque momento lo desideri tranquillamente ammirare, rimirandosi nello specchio del regime che con tanta passione difende.

La “vaccata” più grande scritta dal Capote? Non c’è, come si usa dire in questi casi, che l’imbarazzo della scelta. Ma, nell’imbarazzo, questa è quella che Ubre propone: “L’Europa occidentale era in delirio. Mai, nemmeno nei loro sogni migliori, avevano visto qualcosa del genere: i tesori accumulati durante anni di sforzi fluivano nelle casse dei grandi capitalisti europei e americani”. Davvero? I fatti ci dicono che quei tesori – nei pochi casi in cui esistevano, considerato che proprio per questo, per la sua incapacità di produrre ricchezza, il socialismo era caduto – sono in effetti finiti (vedi il più lampante caso, quello della medesima URSS) nelle grinfie di una nuova ed assai corrotta oligarchia che, quasi sempre, non era che un prolungamento della vecchia burocrazia comunista. Nessuno, in realtà ha saputo adattarsi meglio alla nuova realtà del “capitalismo selvaggio” degli antichi boiardi del partito-stato.

Ubre non ha, a questo punto, dubbio alcuno. Raúl Antonio Capote ha scritto una super-vaccata. E merita il massimo (4) delle no-bullshit award. (P.S. Se qualcuno ha, a questo punto intenzione di riproporre la litania, o meglio, la foglia di fico, dei medici in missione e bla bla bla, si risparmi la fatica, perché con Ubre non funziona. E, dovesse questo accadere, Ubre non potrebbe che aggiungere, pur contro i regolamenti, un quinta no-bullshit award all’articolo di Capote).


Ecco, in ogni caso, quel che, sotto il titolo “La restauración capitalista y los mensajeros del desastre”, scrive Raúl Antonio Capote.

I politologi, gli esperti di «transitologia», gli studiosi dello smantellamento del socialismo e della restaurazione capitalista ci presentano come l’elisir magico della prosperità le formule applicate dai militanti del disastro nell’Europa orientale.

Non c’è altro modo di catalogare coloro che hanno guidato la grande truffa, la tragedia che per tutta l’umanità ha significato la caduta del socialismo in quella regione del mondo.

Che ne è stato fatto di coloro che hanno pubblicizzato la terza via come una scelta sicura e futura per le loro nazioni? Dove sono gli apologeti del socialismo dal «volto umano», della «transizione non traumatica», alternativa al comunismo e al capitalismo selvaggio?

La terza via, durante lo scontro col socialismo, fu musica gradita alle orecchie dei governi capitalisti d’occidente, melodia che, rivolta all’interno degli Stati socialisti, suonava meno traumatica e più facile da accettare per il popolo. Vittime di una lunga campagna di guerra culturale, di discredito antisocialista, di azioni di sabotaggio delle loro economie e di operazioni di sovversione politica, più gli errori e le deviazioni del Socialismo Reale, i popoli dell’Europa orientale erano pronti a credere alle promesse dei riformatori.

Quando arrivò l’ora zero, il socialismo si arrese, la verità di ciò che accadeva alle grandi maggioranze, incantate dalle promesse di cambiamento, gli antichi centristi, molti dei quali divennero figure dominanti della restaurazione capitalista, si sono trasformati, come per magia, in attivi militanti del neoliberismo.

Quei dissidenti «riformatori», che vissero il loro momento di gloria negli anni ’90, si trasformarono rapidamente e divennero arcangeli della demolizione, maestri dell’applicazione della «terapia di shock» che servì a privare la popolazione dell’Europa orientale delle conquiste ottenute durante gli anni di costruzione socialista. Gli ex difensori della terza via, con grande entusiasmo, si sono dati il compito di privatizzare tutto e di vendere a buon mercato le ricchezze dei loro popoli agli investitori stranieri.

L’Europa occidentale era in delirio. Mai, nemmeno nei loro sogni migliori, avevano visto qualcosa del genere: i tesori accumulati durante anni di sforzi fluivano nelle casse dei grandi capitalisti europei e americani. Lech Walesa, presidente della Polonia, chiedeva entusiasticamente: «Voglio che l’America mi mandi i suoi migliori generali: General Electric, General Motors e General Mills».

L’applicazione della «terapia d’urto», la persecuzione dei militanti comunisti e le leggi draconiane che proibivano di occupare ex dipendenti dei governi popolari hanno gettato un’ombra sul paesaggio della «democrazia» restaurata. Dalle promesse e dai discorsi sulla libertà di espressione, i diritti umani, il libero scambio, la felicità che potresti comprare dietro l’angolo in ogni angolo, non sono rimaste le ombre. La caccia alle streghe, nello stile del Medioevo, ha perseguitato accanitamente gli eretici che denunciavano la truffa, che furono pochi in onore della verità. La maggior parte di loro danzava al suono dell’Occidente fino a quando, senza accorgersi del momento esatto, cominciarono a perdere il passo.

Dall’esterno la pressione era sempre più forte. La Fondazione Nazionale per la Democrazia (NED) ha menzionato in una delle sue relazioni annuali che «il risorgere di personaggi comunisti è un ostacolo allo sviluppo delle democrazie funzionali», mentre la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) qualificava il possibile ritorno di ex-comunisti ai governi come un regresso con gravi conseguenze.

Le cosiddette leggi di decomunistzzazione delle istituzioni sono state applicate in quasi tutti i paesi ex socialisti. In molti di essi è stata decisa l’esclusione della candidatura alle elezioni di ex membri dell’apparato statale comunista. La deconcentrazione fu applicata in profondità per «ripulire le strutture dello Stato»; furono approvate leggi che proibivano ai collaboratori del vecchio sistema di lavorare in settori come la Banca e l’Educazione.

Niente di gentile, figuriamoci di riconciliatore, ha avuto la cosiddetta transizione. Fu un processo reazionario di riconquista, di spoliazione e di addomesticamento di idee che, per essere onesti, dormivano in molti casi nel baule dei ricordi o erano legate con nastri di gomma alla vita della gente, senza arrivare a toccare i cuori e compromettere l’anima. Non si può non menzionare l’avvertimento di Lenin, dimenticato dagli opportunisti di ogni laya, paurosi e patti pseudorivoluzionari, che una rivoluzione valeva quando era in grado di difendersi.

Privatizzazioni, licenziamenti, perdite di diritti, persecuzioni… niente è rimasto in piedi. Il neoliberismo selvaggio ha cambiato la fisionomia delle ex repubbliche socialiste, il volto disumano del capitalismo ha mostrato la smorfia sordida che lo caratterizza. I paesi dell’Europa orientale dovevano adottare la «terapia d’urto» come condizione preliminare per richiedere l’intervento del Fmi e della Banca mondiale e ricevere altri aiuti di carattere creditizio. Questa strategia ha impoverito i paesi, rovinando la loro struttura industriale, il che è stato un passo necessario per trasformarli, come volevano le istituzioni finanziarie internazionali, in mercati passivi per i prodotti occidentali.

Il 26 dicembre 1991 l’Urss firmò la propria dissoluzione. Nei nove anni di presidenza di Eltsin, il Pil del paese è crollato del 40%, numerose fabbriche hanno chiuso e la disoccupazione è salita al 22%, mentre la corruzione, la criminalità e l’economia informale prosperavano ovunque. Dopo la caduta del muro di Berlino arrivò al potere la coalizione conservatrice, con Helmut Kohl in testa nella Repubblica federale tedesca (RFG), e il processo di restaurazione del capitalismo nella Repubblica democratica tedesca (RDT) accelerò.

Le imprese nazionali furono privatizzate per essere successivamente smantellate; decine di migliaia persero il lavoro, le case e la stabilità in generale. I lavoratori della Germania orientale sono diventati manodopera a basso costo per i proprietari delle imprese della Germania occidentale, diventando «cittadini di seconda classe».

Dopo la caduta del socialismo, la popolazione che vive in povertà si è moltiplicata in questa regione per due o tre volte. La transizione al capitalismo ha portato alla diminuzione delle aspettative di vita, al deterioramento del sistema sanitario pubblico e dell’istruzione, all’aumento del crimine e della violenza nazionalista. Con il capitalismo sono arrivati anche, con inusitata forza, la droga, la corruzione, la criminalità, la tratta di esseri umani, la prostituzione. Diceva V. I. Lenin ne “La bancarotta della Seconda Internazionale”: «L’opportunismo franco, che provoca l’immediata ripulsa della massa operaia, non è così pericoloso né dannoso come questa teoria del giusto mezzo, che discolpa con parole marxiste la pratica dell’opportunismo, che cerca di dimostrare con una serie di sofismi l’inopportunità delle azioni rivoluzionarie».

La terza via è una falsa bandiera issata contro il socialismo, la issano ogni volta che ne hanno bisogno per impedire una rivoluzione profonda, per mediatizzarla o per porvi fine. È la punta di diamante della restaurazione capitalista, del saccheggio neoliberale e del disastro.

Clicca qui per leggere, in spagnolo, l’originale articolo pubblicato dal Granma

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