Friday, October 4, 2024
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“Vogliamo il diritto d’avere diritti”

Il famoso regista cubanoFernando Pérez non è certo un gusano. Né lo è l’attore Jorge Perugorría, iconico protagonista del film Fresa y Chocolate. Eppure c’erano anche loro la sera del 27 novembre scorso, davanti al Ministero della Cultura dell’Avana. Erano accorsi per dare il proprio appoggio alle centinaia di giovani artisti che si erano riuniti per solidarietà con i ragazzi del Movimiento San Isidro: sloggiati con la forza da personale della Sicurezza mentre facevano lo sciopero della fame e alcuni della sete per protestare contro la condanna a otto mesi del rapper Denis Solis, anche lui del Movimiento, decisa dopo un processo-lampo. Condotti alle proprie case, in ospedale o al commissariato, quasi nessuno di loro ha potuto partecipare al meeting ma sono arrivati, per un imprevisto tam-tam via internet, quasi quattrocento giovani artisti e intellettuali, alcuni molto noti. Per tutta la giornata hanno applaudito e cantato finché è arrivato Pérez che ha incontrato il viceministro Fernando Rojas per convincerlo a riceverli. Ed ecco che quello non solo ha aperto le porte a trenta di loro ma li ha ascoltati fino alle due del mattino, ha preso nota delle richieste e si è impegnato a continuare il dialogo.

Dialogo interrotto

E anche se il sequel dell’incontro non ha dato gli esiti sperati, resta il fatto che quella conquista ha segnato una rottura col passato e il nome 27N sia entrato nel linguaggio e negli annali. Non solo, infatti, le proteste a Cuba sono di fatto vietate, ma quello sgombero di una casa dove si svolgeva una protesta pacifica è stata l’occasione per mettere sul piatto una serie di richieste: libertà di espressione e fine della repressione di chi dissente, e in generale “il diritto di avere diritti”. La vecchia regola stabilita da Castro nel 1961 per cui Dentro de la Revolución todo, contra la revolución nada è ancora l’unico arbitrario parametro per decidere cosa sia permesso e molti siti critici vengono oscurati, interrotte le linee telefoniche, seguiti gli artisti in odore di dissidenza. Gli arresti degli oppositori sono calati con gli anni, ma l’organizzazione Human Right Watch riporta nei primi otto mesi del 2019 circa 1.800 denunce di detenzioni arbitrari, oltre a ritorsioni come restrizioni nei viaggi, licenziamenti e qualche gesto di violenza.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il Decreto 349 del 2018, che vietava la professione artistica a chi non fosse iscritto ad associazioni statali e istituiva un ispettore per controllare la sintonia delle opere con la rivoluzione. E proprio per reazione a quel provvedimento è nato il Movimento San Isidro:quattordici giovani artisti e accademici che in un appartamento dello scalcinato quartiere San Isidro in cui sono nati, a La Habana Vieja, hanno fondato quella postazione di pacifica protesta.

“Sento vergogna e orrore”

Subito dopo lo sgombero circa seicento intellettuali hanno mandato una lettera contro gli abusi della polizia, mentre la cantante Haydée Milanés, figlia del celebre Pablo, ha scritto sulla sua bacheca: “Abbiamo chiesto dialogo. Non siamo stati ascoltati. E’ questa la soluzione che hanno trovato? Sento vergogna e orrore”.

Eppure, se al Movimiento molti sono grati per aver fatto da detonatore al malcontento, sono parecchi a non identificarsi nelle sue richieste. Troppo estreme le posizioni di alcuni dei suoi membri, e troppo borderline. A guardarli con le lenti del governo rivoluzionario, i membri del MSI sono tutt’altro che giovani modello e a metterli in cattiva luce ci vuole poco. Intanto Denis Solis dichiara che Trump è il suo presidente. E occorre un grosso sforzo per considerarla un’opinione neutra viste le misure con cui il tycoon ha contribuito ad affossare l’isola: blocco delle rimesse che rappresentano la prima voce nell’economia, divieto per i turisti americani di recarsi a Cuba. Maykel Osorbo è contrario al dialogo e insulta sui social quei “ladri dei colletti bianchi”. E il 33enne Luis Manuel Otero Alcántara passa per una testa calda le cui performance tra arte e politica sono troppo provocatorie per essere gradite. E dire che una di queste è finita al Centro Pompidou, mentre in patria il suo virtuale Museo de la Disidencia ha riscosso interesse. Lo hanno arrestato tante di quelle volte che ha perso il conto, per esempio perché è andato in giro per un mese indossando la bandiera cubana. “In realtà all’interno del Movimiento c’è di tutto”, dichiara la 27enne scrittrice Katherine Bisquet che ne fa parte e che ha partecipato allo sciopero. “Persone di destra e di sinistra e altri che come me che non appartengono a nessuno schieramento”.

Subito dopo la famosa riunione, la televisione di Stato ha trasmesso un programma in cui screditava il movimento e quelli che lo appoggiano accusandoli di essere mercenari. “E’ il solito sistema”, si lamenta il 22enne Mauricio Mendoza, collaboratore dei media indipendenti Diario de Cuba e di Puente a la vista e tra i partecipanti all’incontro. “Danno del prezzolato a chi dissente e montano una campagna contro di lui facendolo passare per un traditore”. Ci sono stati perfino actos de ripudio, una pratica che sembrava scomparsa, per esempio sotto la casa di Iliana Hernández hanno sfilato una cinquantina di persone urlando “Mercenaria”. E nel frattempo il detenuto Solis è stato rinnegato dall’Agencia Cubana de Rap, mentre il governo assicura di avere le prove dei suoi contatti con i terroristi in Florida. C’è un po’ di tutto, nella galassia critica dei giovani cubani.

“Ci sentiamo come cimarrones’

“I miei coetanei hanno posizioni diverse tra loro ma ne conosco pochi che non siano a favore del cambio”, ci dice Carlos Álvarez, trentunenne autore di Cadere, pubblicato in Italia da Sur e caso letterario internazionale. Era a New York quando ha saputo dello sciopero. Ha preso il primo volo e si è precipitato nell’appartamento in calle Damas dove è rimasto fino all’irruzione della polizia, che ha raccontato con parole commoventi su El País. E con grande empatia ha descritto anche quel barrio San Isidro la cui coscienza storica è introiettata dagli abitanti tra cui Luis Manuel e Maykel che si sentono, scrive Álvarez, come cimarrones: neri e poveri nelle loro case precarie. Benché critico con il governo e definito dalla tv di Stato un nemico del popolo, lo scrittore è tutt’altra cosa dall’anticastrista di Miami. “Sono per un processo democratico il cui obiettivo sia una società progressista, inclusiva e libertaria”, ci dice. “E’ triste constatare che per molti cubani l’alternativa alla dittatura sia il libero mercato: un modello superato e che ha mostrato molte falle”.

Anche la vulcanica Tania Bruguera è vicina al Movimiento benché si definisca di sinistra. Artista plastica di fama internazionale che ha esposto alla Tate Gallery e nota per le performance tra politica e arte per cui è stata arrestata varie volte, è delusa che il governo abbia tradito le promesse del 27: per esempio che non avrebbe screditato i manifestanti né fatto piantonare le loro case. Il 3 dicembre il Movimiento ha mandato una mail in cui dettava condizioni perentorie ma il governo a quel punto ha chiuso i dialoghi, o meglio li ha riaperti con interlocutori di sua scelta: “artisti che non abbiano compromesso la propria opera  con i nemici di Cuba”.

C’è confusione sotto il cielo. Ingenuità, contrasti e l’appello a restare uniti. Un artista visuale che preferisce restare anonimo è dell’opinione che l’isola stia vivendo il processo più rivoluzionario dai primi anni della rivoluzione. “La nostra generazione crede nella pluralità di pensiero e nel dialogo per una Cuba migliore. Questa settimana abbiamo incontrato le principali autorità della mia provincia che sono rimaste senza risposta, non erano preparate. Però hanno dovuto ascoltare e questo è un primo passo”.U

Una economia a pezzi

Sta di fatto che la ribellione degli artisti cade in un momento che definire critico è eufemistico. Tra le manovre di Trump e il covid l’economia è crollata, e il Pil è sceso di otto punti. Per incassare valuta straniera il governo ha aperto tiendas in cui si paga in dollari. E il 1 gennaio partirà la riforma sul cambio unico al posto del doppio cambio che passa per il peso convertibile. Il presidente Miguel Díaz-Canel  aveva un’espressione funerea quando ha annunciato la misura, il 12 dicembre, una preoccupazione comprensibile.

 “Sul breve termine ci sarà un gran incremento dell’inflazione e della disoccupazione”, ci spiega l’economista Carmelo Mesa-Lago, professore emerito dell’università di Pittsburgh. “Nel lungo termine, però, se le politiche saranno implementate in maniera corretta, quella riforma produrrà effetti positivi come l’eliminazione delle distorsioni, gli incentivi ai lavoratori e la crescita economica”.

Molte speranze sono riposte in Biden. Che annulli le misure di Trump e riprenda il dialogo interrotto con Obama. Al nuovo presidente basta un provvedimento per ripristinare le misure obamiane ma gli occorre la maggioranza al Senato per ulteriori passi. In quel contesto meno cupo anche la battaglia dei giovani potrebbe diventare più facile.

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